UN AUTUNNO LUNGO UN GIORNO

Questa non è una favola nè una bella storia, è la realtà e ve la voglio raccontare. 
Sabato sera, il primo di questo autunno. 
Una cena fuori, una passeggiata, torniamo presto così domani ci svegliamo di buon ora. 
È una serata fresca e tranquilla, passiamo dalla campagna così ci godiamo la strada. 
Arrivando sulla statale cè movimento: un'auto al centro della strada, 4 frecce accese, volto lo sguardo sulla sinistra, ci sono due corpi scuri, immobili, riversi sull' asfalto. Un piccolo gruppo di 4 o 5 ragazzi circa 17 anni, distanti da loro, camminano avanti e indietro, uno di loro parla al cellulare, gli altri con le mani in tasca, incrociate sul petto , tra i capelli, ma non si avvicinano. Si tengono a distanza dai feriti, sento la loro paura sfondare il mio finestrino. Maurizio scende al volo chiedendomi i guanti. Sento uno di loro esultare  'è arrivato un dottore! È arrivato un dottore!' ma non siamo dottori, siamo solo due che, come il destino, stasera passava di qui. 
Il tempo si ferma insieme a tutte le macchine che arrivano. Accendo le frecce che fendono il buio diventato improvvisamente più scuro. Scendo e mi avvicinò, non è difficile, nessuno ha il coraggio di farlo. I ragazzi rimangono lontani, impauriti, i vecchi escono dal bar, bianchi come cenci lavati, con le bocche tremanti aperte, asciutte, temo che qualcuno di loro possa sentirsi male. Mi avvicino ancora, Maurizio è già lì con una mano sul torace del ragazzo e l'altra che gli tiene un polso con due dita. Lui non parla, sembra che faccia fatica a respirare, la testa è avvolta nel sangue già parzialmente coagulato, girata in una posizione innaturale. Lui è senza casco. Maurizio gli parla, come per rispondere a domande che sente lui solo, che non arrivano. Lui gli parla lo stesso e rimane tutto il tempo inginocchiato vicino a lui. Il suo amico, a un paio di metri grida, sono urla che fanno rabbrividire ma incoraggiano, lui c'è. È distrutto, senza le scarpe, una caviglia attaccata per la pelle, una tibia spezzata che fuoriesce dalla carne per una quindicina di centimetri, il resto della gamba arrotolata su sé stessa non ha più una forma. La spalla girata sotto la schiena, sembra un manichino scaraventato giù dal quinto piano,  ma grida! Lui indossa ancora il casco, rotto, sporco, pieno di sangue un casco che ha fatto il suo maledetto dovere. I vecchi entrano, escono, si siedono, si alzano vanno avanti e indietro come fantasmi senza dire nulla. 'avete chiamato l'ambulanza? Avete spiegato la gravità?' uno di loro balbètta qualcosa 'si si l'abbiamo chiamata ma non arriva...non arriva più!'. Corro in macchina passando in mezzo al gruppo di ragazzi che litigano tra loro 'sei un coglione! Hai visto cosa succede a fare il figo con la moto? E se succedeva a te?' . Eh si perchè la paura in questi casi è così tanta che riesci solo a essere egoista e guardando il tuo amico a pezzi sull'asfalto, non puoi fare altro che pensare 'menomale che non è successo a me' . Prendo il telefono, compongo il 118 mi dicono che ci sono due ambulanze su strada da 10 minuti, mi chiedono notizie, descrivo tutto quello che vedo compresa la giovanissima età delle vittime. Intravedo Maurizio discutere con un uomo per allontanarlo. È la persona che ha investito i ragazzi quando con la loro moto non si sono fermati allo stop. Grida tra la gente in cerca di testimoni ma viene messo a tacere malamente. Puzza di alcool. Un'auto inchioda fermandosi proprio dietro la mia. Scende una donna che corre verso i feriti. È la mamma del ragazzo senza casco. Piange, si dispera, cerca di toccarlo ma viene sorretta e tenuta a distanza. In lontananza si sentono le sirene avvicinarsi. Arrivano finalmente le ambulanze. Scendono medici e volontari che per un attimo indugiano su quello scempio ma poi agiscono senza tentennamenti. Stabilizzano il ragazzo con il casco e immobilizzandolo lo caricano sull'ambulanza che parte immediatamente. Il suo amico rimane lì, a terra, con quel rantolo ripetitivo che ci riempie le orecchie e che non si capisce da quale parte di lui di preciso provenga. Lo intubano, lo stabilizzano, la madre continua a chiedere tra le lacrime'perchè non lo portano via? Perché?'. Finalmente con molte difficoltà riescono a caricarlo sulla barella e poi sull'ambulanza. Arriva un uomo su una punto bianca che con passo lento e deciso si avvicina. È il padre del ragazzo con il casco e quando vede in quali condizioni versa l amico del figlio ha un mancamento. 'dov'è mio figlio?' Maurizio lo prende per le spalle 'è già in ospedale stai tranquillo, tuo figlio è vigile, è cosciente' a quelle parole l'uomo sembra riaversi, sale in macchina e corre in ospedale. I vigili arrivano con calma, fanno le foto raccomandandosi di non toccare nulla, ma qualcuno ha già raccolto le scarpe, il casco rotto, i vestiti, i pezzi della moto da competizione spaccata letteralmente in due. Ogni tentativo di cancellare quella paura, quell'orrore, era stato fatto. Ogni tentativo di rimettere tutto come prima ma purtroppo..nonostante ogni sforzo, nonostante la volontà di voltare lo sguardo e di dimenticare, nonostante tutti, ma proprio tutti i presenti avessero voluto tornare indietro di un giorno, non c'era proprio nulla che sarebbe mai più rimasto come prima.

(Storia realmente accaduta che ha ispirato il racconto "un autunno lungo un giorno" )

Commenti

  1. Ogni volta che lo leggo mi vengono i brividi...tremendamente bello!!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ...e vero. Questo avrei voluto che forse frutto di semplice fantasia... forse non sarebbe stato così "efficace".

      Elimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

HO UN PRATO

AVEVA RAGIONE PINOCCHIO