TI GUARDO DA LONTANO
Avevo sempre detestato quel paese, quel luogo di bigotti inaciditi, di gente che ti scruta in silenzio attraverso le assicelle delle persiane chiuse, uomini e donne che ti vedono crescere e giudicano ogni tuo cambiamento con disprezzo, nascondendo la bocca con la mano, o dietro a sciarpe a maglie grosse ottenute sferruzzando davanti alla televisione in bianco e nero, nei freddi pomeriggi invernali, mentre il mondo fuori, continuava a cambiare colore.
Detestavo quella mentalità chiusa, sospettosa, avida di pettegolezzi, quella prontezza nel giudicare chiunque fosse un pochino diverso da loro ancor prima di averne conosciuto il nome. I nomi dei bambini in un paese non si conoscono mai, tutti sono figli di, o fratelli di, o amici di, tutti pensano di conoscerti quando attraversando la via centrale del paese sfoderi un sorriso di circostanza, vestito solo della tua personale consapevolezza: nessuno di loro sa chi sei.
Non capivo se ad infastidirmi maggiormente fosse il pregiudizio di una generazione gelosa ed invidiosa della giovinezza, o l'immensa soddisfazione che leggevo nei loro occhi ogni volta che mi vedevano ancora lì, davanti a loro, anche oggi, anche domani, senza riuscire mai ad andare via.
Conoscevo ogni angolo di quel paese, ogni strada chiusa, ogni scorciatoia, ogni vicolo secondario, la profondità di ogni portone dove spesso mi ero nascosta giocando da bambina, conoscevo ogni cane del paese, ed ogni scritta sul muro, c'era un albero, un abete, al centro del piccolo parco giochi nella piazza principale, su quell'abete mi ero arrampicata milioni di volte fino quasi in cima, finchè i rami non diventavano fragili e la punta cominciava leggermente a flettere, lassù in cima, inciso sul tronco c'era il viso di un pagliaccio che consideravo il 'guardiano dell'albero' quando arrivavo di fronte a lui scrutavo oltre i rami, in lontananza, e allora i tetti sparivano, riuscivo a vedere i confini di tutto, per mè erano lì vicino, i confini di tutto.
Avevo giurato molte volte che me ne sarei andata via da quel posto che conoscevo a memoria, quel posto che mi annoiava, che mi tratteneva, che non aveva nulla da darmi, quel posto che credevo di odiare, senza rendermi conto che in realtà era un luogo magico, una bolla sospesa, lucida, liscia, fragile, una piccola porzione di luogo e di tempo che fluttuava in modo grottesco in un universo infinitamente più grande ed incontrollabile, infinitamente più crudele ed impietoso.
Si, so esattamente quanto durò la mia dolce prigionia, potrei segnare su di un calendario i giorni esatti di un periodo che consideravo di infinita attesa, mentre invece mi trovavo protetta da quella bolla attraverso la quale giungevano immagini artefatte e distorte. Il giorno che arrivai in quel paese ebbe inizio la mia giovinezza, e fu esattamente lì che rimase diversi anni dopo lì, seduta su quel ramo di fronte al guardiano dell'albero a guardarmi andare via, malinconica, e non tornare più.
#SilviaSimonaBiolcatiRinaldi
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