IL MIO VIAGGIO NEL TEMPO (STORIA DI UNA B.R. CHE TORNA A CASA)
IL MIO VIAGGIO NEL TEMPO
(storia di una B.R che torna a casa)
Non ero mai stata a Santa Giustina.
Fino a qualche tempo fa mi accorgevo a malapena dei cartelli stradali che indicavano la direzione per questo paese.
Sul lungo rettilineo che da Goro conduce a Bosco Mesola, puoi imboccare, sulla destra, un viale ordinato e ben curato di cui non si scorge la fine, quasi come fosse un profondo tunnel attraverso il tempo. Sui suoi fianchi a distanza regolare crescono, dritti e maestosi, due file parallele di pini marittimi che proteggono la strada non molto ampia dai raggi densi ed accecanti del sole dell'alto Adriatico. Non conoscevo il tragitto, a maggior ragione percorrevo quella strada senza fretta, inoltre tentavo di cogliere ogni sfumatura di quel territorio che mi costringevo ad immaginare come se fossi una Biolcati Rinaldi del 1700.
In pochi minuti giunsi ad Alberazzo, piccola comunità costruita prevalentemente ai lati di questo lungo viale, case basse su un solo piano, tutte perfettamente curate ma che conservano ancora la loro forma, struttura e dimensioni originali. Le proprietà, quasi tutte prive di cancelli, staccionate o altri confini visibili, sono circondate da deliziosi giardinetti verde scuro, angoli fioriti, salici, sentieri selciati e piante che sembrano scolpite dal vento, tutto riportava ad immaginare un antico villaggio contadino abitato da gente semplice e molto accogliente, avevo l'impressione di essere accompagnata virtualmente alla mia destinazione dagli abitanti del posto.
In questa terra che sembra appartenere a tutti ma sa di non appartenere a nessuno, spunta poco più avanti, immersa interamente in un oasi di terra e d'acqua tra le fronde degli alberi, la punta alta della torre Abate dalla quale, una volta posato il mio sguardo di lontano, non sono più riuscita a distogliermi
completamente.
Guidai con calma, lungo il viale che adesso aveva preso direzioni curvilinee mentre la torre spariva e ricompariva tra le foglie ondeggianti degli alberi ed i bagliori dei raggi che mi accecavano ad intervalli, dandomi l'impressione di fate dispettose che tentavano con qualche strana magia di nascondermi la torre agli occhi fino alla fine. La strada circonda però la Torre per quasi mezzo perimetro e giunsi senza difficoltà proprio davanti al cancello di ingresso dove parcheggiando la macchina incominciai a sognare ad occhi aperti.
Davanti all'ingresso principale, protetto da un grande cancello di ferro battuto preceduto dalla spessa e semplice pavimentazione di cotto (che Alessandro mi spiegò provenire dal recupero dell'antico pavimento della Casa del Popolo di Bosco Mesola) si apre un sottobosco ombroso ed ampio che una volta tramite la strada principale che attraversava la torre, incanalava un gran numero di carri trainati dagli animali carichi di ogni genere di merce diretti dentro e fuori dalla proprietà i cui custodi avevano il compito di regolare la chiusa del Canal Bianco che dava su uno dei rami del delta del Po.
Usavo le mani come delle sonde su quegli spigoli arrotondati e consumati dal contatto (sicuramente non molto delicato) delle fiancate dei carri e mi sembrava di sentirne i colpi secchi, le assi che si crepavano un po' ad ogni colpo ed il rumore delle ruote sulla strada consumata, le voci con quei toni alti coi quali i contadini sanno farsi ascoltare ed obbedire dalle loro bestie, gridati rigorosamente nel dialetto ferrarese che conosco. Vedevo quegli occhi chiari nascosti sotto grandi cappelli di paglia e quelle braccia scure percorse da grosse vene sottopelle, muscolose e ruvide tipiche di chi ha conosciuto le fatiche dei campi e del mare, mi sono immaginata di vivere qui.
Ho sempre creduto in una particolare e forse anche un po' personale forma di reincarnazione che ci conduce di vita in vita ad incontrare sempre le stesse persone a cui ci siamo legati e che abbiamo amato profondamente, e ad incrociare con loro rapporti affettivi, familiari o di amicizia. In questo modo siamo legati e destinati a reincontrarci per l'eternità. Forse non ho mai vissuto nella Torre Abbà, anche se ci scherzo sempre dicendo che è un'antica residenza di famiglia, avvalendomi anche del fatto che molti documenti e ricerche storiche riconducono l'origine del mio cognome proprio a questa costruzione.
Tuttavia, anche se mi piace fantasticare ed immaginarmi come una delle graziose figlie di Domenico per esempio, una di quelle ragazze benestanti, nobili e ben vestite, gente di istruzione e di buone maniere, probabilmente sarei stata la ribelle della famiglia, quella che esagera sempre, quella che grida nei corridoi per sentire rispondere l'eco, che corre come i maschi, quella più spericolate più disobbediente, quella che si ribella sempre ad ogni regola finché qualcuno non le spiega un motivo valido per seguirla.
Forse più plausibilmente ero una semplice contadina (in effetti la mia costituzione fisica suggerisce meglio questa versione) ma che io fossi una nobildonna, una contadina, che cucissi merletti sugli abiti delle signore o tirassi il collo alle galline per farne il brodo, una cosa è certa: la Torre Abate è stata qualcosa che per me, un tempo, ha significato 'Casa'. Le sensazioni di gioia ed i ricordi felici sopravvivono al tempo, allo spazio, sono come impronte digitali che lasciamo lì sospese negli anni e nei secoli in attesa di tornare un giorno e riposare le nostre mani su quegli spigoli arrotondati, su quei cancelli di ferro battuto, su quei mattoni rossi consumati dal sole e dalla salsedine portata da un vento che sembra giungere da altri mondi. Chiamatemi romantica, forse sono solo una pazza che vede nelle coincidenze dei segni e nei volti delle somiglianze inesistenti, ma ogni volta che in questi anni ho incontrato un Biolcati Rinaldi ho riconosciuto in lui, nel suo volto o nei suoi modi qualcuno, qualcuno a cui spesso non ho saputo dare un nome ma spero e sono sicura che un giorno le mie ricerche e forse perché no la fortuna, mi aiuteranno a ricomporre gran parte di questo puzzle.
La verità molto spesso viene fuori anche senza cercarla, è come quelle persone timide e troppo sensibili che fanno una gran fatica a parlare, ad esprimersi. Ci provano alcune volte a dire qualcosa, ma quando non trovano riscontro dopo un po' smettono rimanendo in silenzio.
E allora voi continuate a rimanere in ascolto, continuiamo a fare attenzione, perché ho imparato col tempo che le cose più importanti e significative vengono dette quasi sempre da chi non parla molto spesso e da chi non alza mai troppo la voce.
Sono in ascolto..........
RispondiElimina❤️
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